Albergo Turritania



La Nuova Sardegna 1949
Quando nel 1946 fu  ormai chiaro che il destino dell'edificio di Porta Sant'Antonio, la cui progettazione venne affidata nel 1942 (dall'allora podestà Giacomo Crovetti) all'architetto Vico Mossa, non poteva più essere quello di polo assistenziale previsto dall'E.C.A. (originariamente Ente Comunale di Carità, parola quest'ultima  che  il fascismo sostituì con  Assistenza), rimanendo incompiuto per mancanza di fondi, si determinarono in Città due diverse correnti di opinione.
La prima parteggiava per l'abbattimento dello 'scatolone' (questo il nome di battesimo cittadino riportato nelle cronache del tempo) che minacciava di resistere ai secoli, restituendo alla piazza la visuale verso la strada di Portotorres e la cinta degli orti suburbani, in corrispondenza del vecchio passaggio a livello, recuperando parte della spesa attraverso la vendita dei materiali di risulta.
La seconda caldeggiava la necessità di destinare comunque la struttura ad uso abitativo. L'ipotesi proposta fu quella di cederla ad un'impresa privata al prezzo di due milioni di Lire (ciò che l'E.C.A. sostenne economicamente). L'impresa avrebbe dovuto inoltre pagare al Comune il prezzo dell'area, in quanto non più destinata a scopi assistenziali. 
Il Sindaco, viste le sempre più pressanti richieste per l'abbattimento,  interessò direttamente la cittadinanza mediante manifesto nel quale si affermava che la volontà pubblica di abbattere l'incompleto albergo per i poveri  sarebbe dovuta essere confermata per mezzo di una sottoscrizione economica che garantisse al Comune i necessari fondi per procedere.
Prevedibilmente l'operazione fallì, nonostante la sottoscrizione 'simbolica' di una lira a testa proposta da un consigliere comunale.
Nella primavera del 1947 intervenne (tra  altre che prevedevano la creazione di una cooperativa, un deposito viveri, ecc.)  l'offerta di un privato disposto ad acquistare il caseggiato  e, completandolo, destinarlo ad albergo in cui avrebbero trovato posto un 'diurno' e una trentina di stanze affittabili. 
Nella primavera dell'anno successivo l'Amministrazione comunale ratificava che l'offerta pervenuta,  pari a 2.750.000 Lire, sarebbe stata accettata se entro quello stesso giugno non fossero pervenute altre offerte di importo almeno superiore ad un decimo.
Dopo la vendita il progetto di completamento venne riaffidato all'architetto Vico Mossa. Furono previste 84 camere per complessivi 130 letti, bar e sala convegni, sedici bagni (solo otto stanze lo avranno annesso),  ascensore e parcheggio per le vetture.
Iniziava per Sassari un certo interesse nell'ambito alberghiero; proprio in quel periodo la CIATSA, Compagnia Italiana Alberghi Turistici e i suoi Jolly Hotel, capitanata dal Conte Gaetano Marzotto di Valdagno, aveva adocchiato il potenziale mercato sassarese. 
Emblematica fu una rappresentazione di inadeguatezza delle strutture ricettive cittadine dell'epoca: ci fu un docente dell'Università di Genova  che propose ad un suo laureando in ingegneria lo sviluppo di una tesi dal titolo “Trasformare in albergo l'albergo X -'La Nuova' tacque per discrezione-  di Sassari”. Probabilmente quello stesso albergo del centro  nel quale un giornalista nazionale, incaricato di scrivere una serie di articoli sulla Sardegna, inclusa anche Sassari, si trovò a dormire con l'ombrello aperto sul letto per evitare la doccia dalle infiltrazioni di acqua piovana provenienti dal tetto.
Nella seconda metà del '49 la Nuova Sardegna propose al Signor Putzu, nuovo proprietario dell'edificio di Porta Sant'Antonio, di lanciare un concorso di idee per il nome di battesimo dell'albergo. La partecipazione cittadina fu entusiastica e pervenirono alla commissione di valutazione circa 150 proposte, tutte con commento di motivazione sulla scelta. La speranza di vedere la propria idea tramutata in una bella scritta trionfante di giorno e di notte sulla facciata fu altissima.  

I nomi proposti  toccarono i temi più disparati. Dai classici  Candelieri, Rosello, Albergo di Porta, Platamona, Belvedere Sassarese, Dell'Olivo, a quelli di respiro regionale: Gran Nuraghe, Alla Pernice Sarda, anche esagerati, come Tripudio di Arborea. I beneauguranti, come Hotel Fortuna o Scudo Crociato, per affrontare il tema politico.  Poi fu il turno dei latinisti: Resurgo, Mare Nostrum e dei religiosi con Albergo di Betlem. Proposte anche nel campo delle pietre preziose con Diamante e Brillante. I fantasisti con Arem, Isolabella, Orizzonte Nuovo, Maraviglia.  Per citarne alcuni.
Nell'autunno del '49 la commissione selezionò i cinque nomi  finalisti: Aragona, Platamona, della Torre, Candelieri e quello vincente, proposto  da Clemente Fozzi: Turritania, che secondo le sue parole “suona come nuova musica che inviti ad ascoltarla come inviterebbe i forestieri ad assaporare la gioia di essere ricevuti, ospiti graditi, della città turritana”. 

Qualche giorno prima della discesa dei Candelieri 1950 il Turritania aprì i battenti anche se per  le sole stanze da letto. Tutte le parti comuni come bar, ristorante saloni e ascensore dovettero attendere i contributi emessi dal Governo per favorire la costruzione di alberghi in città scarsamente attrezzate.



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