Sassari, primavera di belle époque


'Ricordo del giardino pubblico di Sassari',  acquerello di  Simone Manca di Mores 

Riscopro un magnifico e poco noto acquerello di Simone Manca di Mores che rappresenta i giardini pubblici di Sassari. L’opera¹ fa parte dell’album pittorico che l’autore dedicò alla figlia Luigia. Il dipinto fu eseguito intorno al 1880, agli esordi del periodo storico cosiddetto della belle époque, racchiuso tra l'ultimo ventennio dell'ottocento e l'inizio della prima guerra mondiale. Affido la descrizione delle atmosfere sassaresi del periodo alla penna del giornalista Antonio Castangia che le ambienta nel 1900,  permettendomi di fare una riduzione  di un suo divertente racconto pubblicato nel 1957 su l’Unione Sarda. 


Sassari, maggio 1900. La primavera, questa nostra primavera tiepida di sole e profumata di fieno fresco, ha riguarnito i platani dei viali e le aiuole dei giardini pubblici di gemme e foglie nuove.
Le strade risuonano del cadenzato scalpiccio dei cavalli attaccati ad eleganti 'equipaggi' e dell'asmatico scoppiettio della prima automobile che si dirige, guidata dal barbuto don Luigino, in Piazza D'Armi, preceduta dagli sguardi scandalizzati dei passanti e seguita da nuvoloni di polvere e fumo.
Tre volte la settimana, sul palco eretto in Piazza d'Italia la banda del 41.mo fanteria, per gentile concessione del colonnello Siotto-Pintor, comandante del Presidio, esegue pezzi di musica classica e lirica, diretta con marziale perizia dalla bacchetta del maestro Cuccaro, mentre la folla delle ore di punta passeggia su e giù sotto il benevolo sguardo del monumento attorno al quale volteggiano le prime stridule rondini.
Giovani azzimati in solino, cravatta alla Lavalier, camicia inamidata, giacca cortissima, calzoni a tubo di stufa in lana 'quadrigliè', paglietta alla Ferravilla e bastone da passeggio fanno la corte a vezzose signorinette avvolte in vaporosi abiti di tulle che riparano la loro pallida carnagione dai raggi del sole con minuscoli ombrellini di pizzo, nascondendo rossori e sorrisi dietro il fragile sipario di un ventaglio.
Sono le signorine Ottonello, le sorelle Azzena, Viale, Cossu e cento altre bellezze che avanzano sull'ammattonato della piazza riunite in convoglio sotto la scorta di arcigne chaperon che, attraverso i loro occhialetti puntati come periscopi di altrettanti sommergibili, squadrano da capo a piedi i più intraprendenti galanti, gelando con uno sguardo le paroline dolci, le frasi complimentose da essi sospirate nel passare.

l'esterno del Caffè Sassarese, ripreso il 29 aprile 1900 per l'inaugurazione del monumento a Felice Cavallotti.

Al Caffè Sassarese, seminascosti tra montagne di dolciumi 'Biffi' (fornitori di sua maestà il Re) e di mostaccioli di Oristano, immersi nei vapori del caffè 'San Domingo' e nell'aromatico profumo dell'opalescente vernaccia di Solarussa, austeri signori in stiffelius, bombetta e pince-nez, sfogliano  'La Nuova' o 'La Cosa Pubblica', discutendo animatamente della politica dei componenti il partito clericale, delle manovre segrete dei liberali e degli anarchici, delle questioni coloniali sulla Tripolitania.
La Società Educazione Fisica Torres, non ancora pressata dai problemi calcistici, organizza gite a Sorso ed i soci -atleti dai bicipiti sviluppati e dai mustacchi a torciglione- nelle loro divise sfilano lungo le vie cittadine al suono dell'inno sociale composto dal dottor Aroca.
Nelle rivendite di generi di monopolio si smerciano trinciati forti e sigari Cavour, cartoline postali 'formato Margherita' e certi giornaletti studenteschi nei quali spiccano vignette anticlericali (la vecchia Sassari aveva il vezzo di atteggiarsi a mangiapreti). Renzo Mossa e Salvatore Pala, Giuseppe Calvia e Enzo Dessena distillano sonetti nei quali “i giorni volano funebri e lenti”, “larve d'amor s'inseguon senza posa” e i vati si dichiarano “stanchi d'amare, stanchi di soffrire”.
Dolci sono i versi e dolci suonano alle orecchie delle caste fanciulle -dal vitino di vespa stretto nel busto di stecche di balena- che li leggono nascostamente, sfogliando per sortilegio candide margherite, sognando un ‘buon partito’ e sospirando al davanzale della finestra quando un bel garzone passa.
Non portano collant di nylon e non usano rossetti o creme di bellezza, vestono lunghi abiti accollatissimi e stivaletti alla 'Signorina Felicita' ma anch’esse hanno mille grilli per la testolina acconciata coi ferri e i bigodini. Alcune leggono nascostamente l’ultimo romanzo di Carolina Invernizio, altre partecipano al concorso indetto dal settimanale 'Massinelli' per la signorina dal piede più minuscolo, altre ancora hanno permesso che l’amico del fratello, in salotto, tra le “buone cose di pessimo gusto” sfiorasse la mano con un bacio a fior di baffetti…
Il teatro ha una grande importanza. La città ci tiene parecchio alla sua fama di melomane ed ancora l’appena nata creatura dei fratelli Lumiere non ha scacciato, coi suoi fantasmi in bianco e nero, dai palcoscenici del Politeama e del Civico le Mimì e i Cavaradossi, le Rosine e i Turiddu, che furoreggiano senza rivali. Si fanno pazzie per la lirica: l’associazione parrucchieri organizza cicli di recite, società politiche e dopolavoristiche seguono l’esempio. Ma su tutti si erge la figura di Simplicio Giganti, l’organizzatore per antonomasia, l’impresario principe che inonda la città con fiumi di immortali melodie, in interminabili e applauditissime stagioni che, per tirare avanti, non hanno bisogno di alcuna sovvenzione.
La borghesia frequenta il Filarmonico, dove donzelle di buona famiglia si abbandonano all’ebbrezza di un valzer di Lehar o di Strauss con rigidi tenentini armati di spadone, monocolo e scintillante bottoniera sull’attillatissima divisa. Essi adorano segretamente Cléo de Mérode o la Bella Otero, ma per una congrua dote sposerebbero anche una delle tante signorine che fanno da tappezzeria, spettegolando fra loro a tutto spiano come uno stormo di gazze chiuse in gabbia.
La high society non manca l’appuntamento al Circolo Sassarese, dove si organizzano concerti e serate di prosa; le signorine Bellieni, Carcopino, Solari, Bertani-Gabbi, si cimentano al pianoforte nell’interpretazione di difficili pezzi. Alberto di Sant’Elia, giovane e romantico come un redivivo Padrone delle Ferriere, recita poesie e monologhi. Il maestro Scarpetta dirige le quadriglie di ingioiellate signore ed irreprensibili signori vestiti dalla 'Sartoria Deffenu', “trionfo della supremazia nell’eleganza mascolina…”.
E’ la Sassari della belle époque, quando i nostri avi in marinara e ghette, come un personaggio del libro Cuore, frequentavano la scuola “normale” e le ragazze, coi mutandoni alla caviglia, simili a un’Ombretta fogazzariana, ricamavano al tamburello il copri divano, intessendo fra le trame dell’ordito sogni popolati di principi azzurri e zazzeruti poeti.


1- pubblicata su ‘Fascino di Sardegna’, a cura di Luigi Piloni e Eveandro Putzolu, 1976, ed. Istituto Poligrafico dello Stato


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