La Sassari dei 'Soliti Ignoti'. Quattro righe tra le cronache giudiziarie degli anni 50-60
A partire dalla seconda
metà degli anni 70 e fino all'apice, negli anni 80 e 90, il volto
della microcriminalità sassarese, legatosi essenzialmente alla
sfera della tossicodipendenza, cambiò i propri connotati facendo
lievitare esponenzialmente il numero, la tipologia dei reati e
contestualmente mutando il volto di una sonnolenta cittadina in cui,
tra gli anni 50 e 60, i furti si commettevano principalmente per
sfamare la famiglia.
Nel dopoguerra, quando la
città andava lentamente riattivando la propria economia tra le
mille difficoltà quotidiane, i reati erano modestissimi, quasi tutti
contro il patrimonio, e il tribunale (presidente Pedroni) li puniva
con impensabile severità. Condanne da 4 a 6 anni per furto di
bestiame, pene che magari oggi vengono inflitte per tentati omicidi.
Era la Sassari degli anni 50 e 60, con una polizia rabberciata (molti
i reduci di guerra), priva di mezzi e alle prese con “delinquenti”
che spesso e volentieri commettevano reati in stato di necessità,
per la sopravvivenza.
Famosi, nell'immediato
dopoguerra i fratelli 'Bellezza', un gruppo di ragazzi abitanti nel
ghetto di Rizzeddu, l'allora Montelepre, i quali rubavano di tutto
purché potesse sfamarli o fruttare qualche soldo. Frequenti le risse,
niente scippi, numerosi i borseggi, quasi sempre ad opera di due
pregiudicati, un fruttivendolo di via Turritana e un disoccupato
(volontario) che operava preferibilmente nelle -allora- affollate vie
del centro storico prendendo di mira le vecchiette. I giorni “grassi”
erano quelli nei quali si riscuoteva la pensione alle Poste.
Negli anni 50 le automobili erano poche, e anche allora venivano prese di mira con tecniche oggi desuete: si agiva con lo “spadino”, ricavato dalle chiavette che aprivano le scatolette di tonno e ci si impossessava dei ferri di scorta, batterie e ruote. Qualcuno magari commetteva il cosiddetto furto d'uso: si rubava la macchina per tornare a casa, nel paese vicino, oppure per fare un giretto. L'auto veniva poi scrupolosamente parcheggiata e magari richiusa.
Gassman e Tognazzi nel film di Dino Risi 'I Mostri' |
Fece scalpore nel 1950 la
scoperta di un commerciante apparentemente tranquillo (in seguito
condannato per traffico di droga) che aveva un magazzino contenente
centinaia di batterie rubate. Non le vendeva, ne faceva soltanto
collezione. Le attività ladresche venivano operate per il 90% di
notte: l'obiettivo erano i negozi, principalmente di generi
alimentari. Famosi i tre “rififi” (ispirati dal film di Jean
Gabin) compiuti in una decina di giorni nello stesso negozio di viale
PortoTorres. Numerosi anche i depositi saccheggiati. Si utilizzavano
i tradizionali ferri del mestiere: un martinetto, un piede di porco,
qualche cacciavite e le serrande cedevano subito. Si rubava per
guadagnare qualche soldo, per sopravvivere. Ma si rubava anche per
allestire banchetti luculliani. A parte un famoso personaggio di
Montelepre specializzato in conigliere un ruolo importante lo ricoprì
la banda delle macellerie: subito dopo il saccheggio la carne veniva
arrostita nel corso di animati festini notturni. Furono scoperti dopo
lunghi appostamenti della polizia con tanto di sparatoria
(intimidatoria) finale.
La storia della delinquenza di quegli anni annovera anche il clamoroso furto commesso nella gioielleria Margelli di piazza Azuni: esperti in fiamma ossidrica ripulirono la cassaforte realizzando un bottino per oltre 40 milioni di Lire di allora e per il furto fu ingiustamente sospettato un ambulante continentale trapiantato a Sassari che non avrebbe avuto neppure il coraggio di cogliere un fiore da un aiuola pubblica. S'è detto, la polizia allora era impreparata.
Rari i delitti di sangue, in maggioranza d'impeto o a sfondo passionale. Qualche rapina. La più clamorosa fu commessa nei primi anni 50 da uno studente universitario e un commerciante, “Aquila nera” e “Il biondino”, che rapinarono un ingegnere sulla Nulvi-Osilo.
Dai ricordi di Gianni Merella: "Leggere la cronaca, che riportava parola per parola gli interventi degli avvocati, trasmetteva l'impressione di assistere alla recita di una commedia
brillante sicché, chiudendo gli occhi si immaginava di stare in un
teatro che, chissà perché, qualcuno si ostinava a chiamare Corte
d'Assise.
Aquila Nera, che era unanimemente considerato il ragazzo più avvenente della città e il Biondino non era da meno. Credo senza precedenti per la città, il 90 per cento del pubblico che assistette alle udienze
era rappresentato da ragazze giovanissime, molte inconsciamente
innamorate dei due fascinosi."
Meritevole di menzione il furto delle vacche di Antonio Segni,
allora presidente del Consiglio. La polizia si scatenò, qualcuno
perse la testa; furono arrestate decine di sospetti (innocenti), alla
fine si scoprì (grazie a un metronotte) che l'abigeatario era un
pastore di Pattada.
Da ricordare anche i
ripetuti furti dei cigni del laghetto del padiglione
dall'artigianato. Le malinconiche coppie di animali, forse
conoscevano già, chi può dirlo, la miseranda fine che avrebbero
fatto: regolarmente arrostiti sulla “grabiglia”, secondo una
tradizione pittoresca, anche alimentata da baldi elementi dei centri
vicinori in trasferta a Sassari.
Alla fine dei 60 il
“salto di qualità”: il sequestro omicidio del commerciante
Pompeo Solinas, pochi anni dopo toccò all'avvocato Alberto Mario
Saba. Ormai i banditi li avevamo in casa e non destò scalpore che
tra i rapitori vi fossero due vigili urbani sassaresi.
In quegli anni Sassari
aveva conosciuto un solo tossicodipendente, ex insegnate di liceo,
morfinomane dopo una grave malattia, che nei momenti di lucidità
compilava tesi di laurea. Furono in molti ad usufruire -per pochi
soldi- della sua vasta cultura.
Nella prima metà degli anni 70 i tossicodipendenti erano appena una sessantina, ma proprio in coincidenza con le prime comparse dell'eroina in città, questo fenomeno e la microcriminalità collegata ad esso iniziarono a subire un processo evolutivo che non conobbe soste inaugurando, nelle dovute proporzioni di piccola cittadina, i furti in serie negli appartamenti, gli scippi, l'apertura sistematica delle auto in sosta, lo spaccio di assegni rubati, le rapine, facendo tramontare definitivamente l'epopea dei soliti ignoti.
Nella prima metà degli anni 70 i tossicodipendenti erano appena una sessantina, ma proprio in coincidenza con le prime comparse dell'eroina in città, questo fenomeno e la microcriminalità collegata ad esso iniziarono a subire un processo evolutivo che non conobbe soste inaugurando, nelle dovute proporzioni di piccola cittadina, i furti in serie negli appartamenti, gli scippi, l'apertura sistematica delle auto in sosta, lo spaccio di assegni rubati, le rapine, facendo tramontare definitivamente l'epopea dei soliti ignoti.
Gassman, Murgia e Mastroianni ne 'I soliti ignoti' di Monicelli |
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